Prendendo spunto da noti e apprezzati “dizionari” delle espressioni dialettali romanesche, ho voluto dedicare questo articolo a un fenomeno linguistico popolare tipico del “folklore” della mia terra d’origine, il Cilento, ma sicuramente riscontrabile in molti altri dialetti del Sud e probabilmente anche del Centro Italia: l’utilizzo di espressioni grottesche e spesso truci volte a gettare sull’avversario (in una lite, per esempio) una sorta di ‘maledizione’ dall’esito terribile.
Chi avrà voglia di contribuire segnalando a sua volta espressioni dello stesso tipo e altrettanto “pittoresche” usando i commenti è ovviamente il benvenuto, da parte mia cercherò di aggiornare l’elenco man mano, tempo e impegni permettendo.
Nota: vengono utilizzate forme contratte e le vocali finali sono omesse in modo da rendere maggiormente la pronuncia originale delle varie espressioni.
Procediamo con la rassegna… ricordo che la lettura è consigliata solo a un pubblico adulto.
Puozz’ittà o’ sang (ti auguro un decesso causato da abbondandi perdite ematiche, eventualmente per via orale)
(Vedi anche Va iett’o sang e Puozz’ cacà sang oppure, come suggerito da Annalisa Ciccarino, Puozz culà o’ sang)
Ti puozz’ scapizzà (che tu possa cadere rovinosamente)
Puozz’ parlà p’i fianch (che i tuoi fianchi si aprano lasciando fuoruscire le tue parole)
Puozz’ ammutisc (ti auguro di perdere la capacità di proferire parola)
Chi t’è muort (imprecazione contro i defunti dell’interolucutore)
(peggiorativo: Chi t’è stramuort oppure I megl’ muort’ e’ chi t’e muort o addirittura O sang’ e’ chi t’è muort, alternativa: Chi t’è bivu meno utilizzata è invece rivolta contro i parenti ancora in vita)
Puozz’ culà cum’e cipudd (ti auguro di marcire producendo umori maleodoranti come accade alle cipolle)
Puozz’ nzurdisc (ti auguro di perdere il dono dell’udito)
(utilizzato soprattutto quando qualcuno fa notare qualcosa che l’autore dell’imprecazione ha detto)
Puozz’ cicà (che tu possa perdere la vista)
(utilizzato soprattutto quando qualcuno fa notare qualcosa che l’autore dell’imprecazione ha fatto)
Puozz’ ard vivu o Puozz’appiccià o anche Puozz’ vruscià (che tu possa ardere vivo, spesso ‘vivu’ rimaneva sottinteso)
Ti pozza siccà a linga (che la tua lingua raggiunga un tale grado di disitratazione da impedirti di proferire parola)
(utilizzato nei confronti di chi ha criticato il proprio operato o ha comunque pronunciato qualcosa di poco piacevole nei propri confronti)
T’acciung’i manu (se osi farlo sarò costretto a rendere le tue mani inutilizzabili)
Ti struppìu (se ci provi ti percuoterò fino a renderti storpio)
Ti spateddu (ti faccio a pezzi, probabilmente derivato dalla pianta dei fichi d’india, le cui “foglie” erano solite staccarsi facilmente se urtate)
Puozz’i casi casi (ti auguro di ridurti in un tale stato di indigenza da doverti recare presso le abitazioni altrui chiedendo l’elemosina)
A saitta c’a t’appiccia (che un fulmine ti possa dar fuoco, con la variante A saitta c’a ti vruscia)
(come suggerisce Francesco ci sarebbe l’espressione A saitta ca nun t’appiccia intesa come appello a una giustizia divina che tarda a concretizzarsi nella punizione, con variante A Maronna ca nun t’appiccia nella versione “religiosa”)
Esistono anche espressioni ‘bonarie’ come Puozz’ sta buon oppure Puozz’ fa l’ova (suggerito, quest’ultimo, da Angela Ciccarino), che ricordano il più napoletaneggiante Puozz’ campà cient’anni