I social e il “fast food” dei contenuti digitali

Il ‘buco nero’ dei contenuti social

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Come molti di voi, uso i social media. Li consulto, premio qualche contenuto col “mi piace” (ormai introdotto anche da Twitter) o condividendolo, quando posso commento e magari mi lascio anche coinvolgere in qualche dibattito. Tuttavia, non riesco a fare a meno di notare come tutte queste piattaforme rappresentino un vero e proprio “tritacarne” dell’informazione, dove tutto viene macinato e mescolato, lasciando spesso che contenuti di bassa qualità (se non addirittura inutili o dannosi, come le ‘bufale’) emergano a volte a sfavore di altri ben più utili e interessanti. Ogni volta che un nuovo ‘post’ viene sparato su un canale social qualsiasi, è come se qualcuno tirasse uno sciacquone trattando quelli precedenti come ‘rifiuti organici’, qualunque sia la loro natura, validità o importanza.

Contenuti ‘a scadenza’

Quando pubblichiamo qualcosa su una ‘bacheca’, una ‘fan page’ o uno ‘stream’ sappiamo già che là fuori c’è un pubblico distratto, frettoloso e soverchiato da un’incessante marea di segnali digitali e che stiamo giocando alla roulette, sperando che il nostro post, tweet o altro venga notato e magari commentato o addirittura condiviso (possibilmente da qualcuno che ha molti ‘follower’ e molti ‘amici’). Per compensare a questa evanescenza comunicativa siamo quindi costretti a ‘postare’ con frequenza, a condire i nostri contenuti con immagini o testi accattivanti, a taggare per richiamare l’attenzione, come dei disperati che cercano di farsi sentire urlando in un mercato rionale affollato o nella curva di uno stadio traboccante di tifosi. Tutto inutile. Dopo qualche minuto quanto abbiamo pubblicato è già passato in coda, proiettato verso l’oblio. Ne rimane solo una traccia sulla bacheca del nostro profilo/stream o sulla nostra pagina, ma probabilmente sarà notata solo da chi vi ritornerà quando riusciremo a catturare la sua attenzione con un nuovo contenuto, e si spingerà a scorrere la pagina per vedere cos’altro c’era prima di ciò che ha appena letto.

Dibattiti o deliri?

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Non parliamo poi dei commenti e delle risposte a questi ultimi. Su Facebook, per esempio, se l’argomento cattura l’attenzione e spinge al dibattito, ci si ritrova a dover scandagliare il ‘thread’ o ricaricare la pagina perché intanto alcuni commenti sono stati nascosti e si visualizzano solo individuando il link ‘espandi’, e quando si riceve una segnalazione di un nuovo intervento in una discussione molto articolata diventa a volte quasi impossibile riuscire a capire in quale punto è stato pubblicato. Quelli che avrebbero potuto essere dibattiti costruttivi, poi, spesso vengono spezzati da commenti inappropriati che possono sfuggire alla ‘moderazione’ e scatenare, a loro volta, un fiume di altri commenti e risposte deliranti e poco edificanti a causa dei quali gli interventi più utili e costruttivi spariscono, risucchiati nella valanga di parole e frasi inutili.

Destinati all’oblio

contenuti-perduti

Tutto questo contenuto, fornito dagli utenti (si chiama infatti ‘user generated content) a tutto vantaggio di chi gestisce la piattaforma social, finisce così nel dimenticatoio dopo un’esistenza effimera che può essere di pochi secondi o al massimo (nei casi più fortunati) di qualche ora o pochi giorni. Qualcuno dirà: ma ci sono gli hashtag per fare ordine e andare a recuperare contenuti precedenti. Avete provato a condurre una ricerca su Twitter? A meno che non lo stiate facendo usando un vero e proprio hashtag e che sia magari particolarmente originale (tipo #selfpublishingchepuzza per intenderci) sarà difficile che riusciate a recuperare contenuti pubblicati a distanza di giorni, settimane o mesi, visto il torrente di ‘contributi’ associati a quella particolare ‘parola chiave’. Facebook ha da poco introdotto la ricerca all’interno del suo canale social, almeno negli USA, forse per dare ulteriore filo da torcere a Google, con cui deve dividere l’osso del mercato pubblicitario “profilato” online, un osso sempre più conteso dai grandi della comunicazione digitale e di conseguenza sempre più spolpato. Ma quanti utilizzeranno (e con successo) questo strumento? Quante persone saranno al corrente che esiste? E funzionerà davvero? Domande lecite, e ai posteri l’ardua sentenza, come si diceva una volta.

Formiche calpestate

calpestato

E mentre i giganti (i gestori) lottano per contendersi l’attenzione nel ciberspazio, le formiche (gli utenti) vengono schiacciate sotto il peso della battaglia incessante, calpestate senza ritegno e con indifferenza, tanto sono così numerose che ci sarà sempre qualcuno pronto a fornire nuova linfa per le loro piattaforme, ad alimentare il flusso incessante di parole, immagini, video e suoni in cui altri utenti si perderanno nell’illusione di partecipare attivamente a qualcosa di concreto, mentre non fanno altro che dare il loro contributo alla macchina micidiale che con i suoi ingranaggi produce i profitti di chi gestisce i canali social. Lo so, questo articolo non piacerà a chi di “social” vive, così come non piacerà a chi si illudeva di usare i social media senza rendersi conto di essere, in realtà, usato da essi. Ma almeno mi sono sfogato, e ora vado a postare il link all’articolo sui miei profili, consapevole della sua evanescenza e del suo ineluttabile destino che lo vedrà rapidamente fagocitato nell’oblio della piena digitale in cui cercava di farsi trada, come un salmone nella corrente… Se volete farvi un’idea di questo marasma, cliccate sull’immagine animata qui sotto e osservate cosa succede sui vari social dal momento in cui avete caricato la pagina…

5 pensieri riguardo “I social e il “fast food” dei contenuti digitali”

  1. Bell’articolo, che in controtendenza alla discarica social, ho letto con attenzione.
    Entrando nel merito sono d’accordo a metà, perchè il tuo discorso in parte mi ricorda quello di Walter Benjamin sulla riproducibilità dell’opera d’arte.
    E’ vero c’è una superficialità dilagante fastidiosa, ma che i contenuti siano più facilmente accessibili e riproducibili lo ritengo un bene.
    E come hai detto, una volta i giornali andavo al macero, adesso tutto finisce subito nell’oblio, ma non va al macero, viene archiviato nella memoria a lungo termine o nell’hard disk se preferisci e si può facilmente recuperare alla bisogna.
    ps. ho provato a lasciare il commento con il plugin di facebook, ma si è impallato

    1. Ciao Clach 🙂
      Prima di tutto grazie per il commento, il fatto di sapere che (a differenza di un commento sui social) queste tue osservazioni resteranno qui, visibili finché sarà in vita l’articolo, e il blog, quasi mi commuove, alla luce di quanto ho scritto. 🙂
      Forse ho esagerato un tantino sul discorso della (troppo) facile riproducibilità dei contenuti digitali, ma se (come il sottoscritto) hai già sperimentato almeno una volta la perdita dei dati a causa del guasto irreversibile di una memoria di massa, converrai che l’unica possibilità di ‘recuperare alla bisogna’ qualcosa è solo quella in cui ne è stata creata una copia di backup… o ne esiste una copia illegale 🙂
      Scherzi a parte, il rispetto per il frutto del tempo, dell’intelligenza e del lavoro altrui è la prima cosa, perché è rispetto della vita e della persona.
      Poi, sul giusto valore e sull’accessibilità dei contenuti ci sarebbe da scrivere interi volumi, altro che un post su un blog.
      Diciamo, a questo punto, che seppure da punti di vista diversi ci ritroviamo con prospettive in parte condivise. E la condivisione, stavolta, non scivola lungo la discarica social per finire in una cloaca informe e destinata a disperdersi in un marasma di banalità.
      Torna a trovarmi, se ti va, e a commentare sui prossimi articoli, credo ne leggerai ancora di altrettanto provocatori, se avrò il tempo di scriverli.
      Intanto complimenti per i tuoi, e per il tuo splendido blog, e in bocca al lupo per i tuoi prossimi viaggi! 🙂
      PS Credo che il plugin di FB si sia ‘ribellato’ a causa dei contenuti del post, era inevitabile
      PPS Grazie per la segnalazione del refuso, come avrai notato ho provveduto a sistemarlo 😉

      1. Si, hai detto cose giustissime che mi hanno fatto riflettere sul valore del lavoro intellettuale. E su come viene percepito dagli utenti oggi.

        Blog aggiunto al mio feed, ho un po’di articoli da leggere adesso 🙂

  2. Ti leggo da poco, ma apprezzo moltissimo i temi e il modo in cui vengono trattati, trovo inoltre che lascino quel minimo indispensabile per poter farsi le cosiddette “domande giuste” che inevitabilmente porteranno a risposte di tipo evolutivo e mai di sola e pura speculazione sull’argomento. Fatta questa doverosa premessa, mi trovi concorde col tuo pensiero: di fatto oggi siamo di fronte a questa evidenza dei fatti. Tuttavia, il mio ottimismo, mi porta a voler pensare e immaginare una possibilità che già c’è e che per fortuna alcuni stanno già sfruttando, ossia attraverso quella capacità di riuscire a generare post atti valorizzazione e al risveglio dell’individuo stesso, soprattutto gratuiti e lontani dalle varie forme di marketing a cui assistiamo oggi, specialmente su Facebook… In fondo dei conti il ritorno economico non sarà altro che una diretta conseguenza di un lavoro ben fatto, che genera in automatico interesse e quindi numeri. L’ignoranza purtroppo è la malattia più difficile da debellare, ma sicuramente destinata a rimanere fine a se stessa e quindi senza seguito, anche nei commenti 😉
    A presto!

    Diego

    1. Grazie per l’apprezzamento e per aver condiviso a tua volta ciò che pensi sull’argomento, Diego. Ho gradito in particolare le tue considerazioni a riguardo, come immagini, che a mia volta condivido senz’altro. Ti invito a dare un’occhiata anche ad alcuni altri articoli ‘affini’ che ho pubblicato su bonaventuradibello.com, potresti trovarli altrettanto interessanti. 🙂

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